Esecuzione forzata del contratto preliminare: bonus prima casa

L’acquirente di un immobile può avvalersi dei benefici prima casa anche nel caso in cui le due parti si siano rivolte al giudice per richiedere l’esecuzione in forma specifica del contratto di compravendita (quando al preliminare non ha fatto seguito un definitivo).

La sentenza in commento affronta la complessa vicenda in cui, come purtroppo spesso accade, le parti, dopo avere firmato il contratto preliminare, non giungono al definitivo e si rivolgono al giudice per ottenere il trasferimento del bene in via giudiziale. Solitamente la richiesta è effettuata da uno solo dei due contraenti, ma nel caso di specie la richiesta è di entrambi.

Uno dei problemi che è necessario nel caso concreto chiarire è se l’IVA degli acconti pagati prima della dichiarazione effettuata per avvalersi della prima casa – dichiarazione in questo caso effettuata solo nel giudizio – debba essere calcolata con l’aliquota del 4% prevista per la prima casa o con l’aliquota ordinaria del 10%.

Si tratta dunque di capire fino a quando è possibile effettuare la dichiarazione di avvalersi dei benefici prima casa e che effetti detta dichiarazione abbia per i pagamenti già effettuati e fatturati con l’IVA nella misura ordinaria.

Esecuzione specifica del contratto preliminare

In seguito alla richiesta formulata dalle parti di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto, il Tribunale, per quanto qui interessa, trasferiva la proprietà in capo all’attrice, ma non le riconosceva il diritto ad usufruire dei benefici prima casa, condannandola al pagamento al venditore dell’IVA calcolata quindi nell’aliquota del 10% e non del 4%, con la motivazione che la stessa non risultava “nelle condizioni di poter ottenere i benefici “prima casa””.

L’acquirente appellava la sentenza, ma anche la Corte di Appello le negava il diritto ad usufruire dei benefici prima casa, confermando, sotto tale aspetto, la sentenza di primo grado e specificando che non è possibile applicare l’aliquota nel 4% a pagamenti effettuati precedentemente alla dichiarazione di volersi avvalere dei benefici prima casa, avvenuta in giudizio.

Proposto il ricorso in terzo grado, la Corte di Cassazione dà invece ragione alla ricorrente, per i motivi appresso specificati, espressi nell’ordinanza n. 3132 depositata l’8 febbraio 2018.

Prima di procedere con l’esposizione dei detti motivi premetteremo brevi cenni sulle norme richiamate nel giudizio e nell’ordinanza della Corte.

Benefici prima casa e dichiarazione

Tra i benefici prima casa vi è quello di poter acquistare un bene immobile ad uso abitativo pagando l’IVA nell’aliquota del 4% e non in quella ordinaria prevista nel 10% (escluse le abitazioni di lusso).

Naturalmente, affinché l’acquirente possa usufruire dei detti benefici, è necessario che egli (oltre che l’immobile medesimo) possieda determinati requisiti e che osservi determinati adempimenti.

In particolare, per quanto qui interessa, l’acquirente deve esprimere la relativa volontà di avvalersi dei detti benefici effettuando determinate dichiarazioni in merito ai requisiti prescritti – nell’atto di acquisto o, quando l’acquisto riguardi beni soggetti ad IVA (restando comunque riferite al momento in cui si realizza l’effetto traslativo), anche nell’atto preliminare.

Esecuzione in forma specifica del contratto

Nel caso in cui le parti non addivengano, nonostante si siano a ciò impegnate, all’atto di acquisto, la legge offre loro la possibilità di rivolgersi al giudice ed ottenere il trasferimento del bene mediante sentenza. La previsione è contenuta nell’art. 2932 c.c.

Per la ricorrente l’aliquota IVA per prima casa va stabilita al rogito e non al pagamento del prezzo.

In terzo grado la ricorrente afferma, per quanto qui interessa, la “violazione o falsa applicazione della clausola contrattuale relativa all’aliquota dell’IVA da applicare al prezzo della compravendita e dell’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972” e specifica che nel preliminare d’acquisto le parti avevano pattuito il prezzo della vendita, oltre al pagamento dell’IVA di legge, senza indicarne l’aliquota, la quale, ove l’acquirente opti per le agevolazioni “prima casa”, va individuata nella misura stabilita dalla legge, pari al 4%, al momento della stipula rogito e non al momento della fatturazione degli acconti.

Cessione di immobile e pagamento dell’IVA

La Corte premette ricordando che, ai sensi dell’art. 18, D.P.R. 633/1972, il soggetto che effettua una cessione di beni (o una prestazione di servizi) imponibile è tenuto ad addebitare l’IVA a titolo di rivalsa al cessionario (o al committente) e che è nullo ogni patto contrario; dunque l’acquirente è tenuto a pagare oltre che l’importo di acquisto, anche la somma, “commisurata al prezzo di vendita nella percentuale stabilita dalla legge”, che il venditore abbia pagato all’erario ai sensi dell’art. 17 dello stesso decreto.

La nullità di ogni patto contrario non esclude che le parti possano convenire che il corrispettivo possa esser determinato dai contraenti in modo tale da comprendere anche il pagamento dell’imposta a cui è tenuto il cedente (o prestatore).

La Corte aggiunge che “la legittimità di un tale accordo presuppone, però, che questo non incida sulla titolarità passiva del debito di imposta e sulle modalità del suo adempimento e si risolva unicamente nell’individuazione del ricavo dell’operazione nel corrispettivo stabilito al netto dell’imposta”.

Aggiunge, inoltre, la Corte che l’accertamento circa la volontà delle parti di concordare un prezzo della vendita che, scontando indiscriminatamente il rimborso dell’imposta dovuta qualsivoglia ne sarà l’ammontare, comporti l’incertezza del ricavo, spetta al giudice di merito (con ciò citando Cass. n. 24372/2011; Cass. n. 21201/2005).

Accertamento che nella specie non risulta, con la conseguenza che l’individuazione dell’aliquota dell’imposta resta affidata alla misura della legge (sia nei rapporti tributari che in quelli civilistici) e cioè, ove si tratti di un acquisto di abitazione non di lusso, nella misura del 10% (ex n.127-undecies della parte III della tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972) oppure, se trattasi di prima casa, ove cioè sussitano le condizioni prescritte dalla nota II-bis all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nella misura del 4% (n. 21 della parte II della tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972).

In tale ultimo caso però le relative dichiarazioni prescritte devono risultare nel preliminare o, al più tardi, nell’atto definitivo di acquisto (cita Cass. 2261/2014).

La dichiarazione prima casa è possibile anche nel giudizio per l’esecuzione del contratto

Tuttavia, evidenzia la Corte richiamandosi anche ad un precedente (Cass. 2261/2014) ove, come nel caso di specie, manchi il contratto definitivo e la relativa dichiarazione non sia stata resa nel preliminare, essa è possibile anche nel corso del giudizio ex art. 2932 c.c., fino alla pronuncia della relativa sentenza.

Ciò vale anche se prima della detta dichiarazione siano stati pagati degli acconti i quali, in assenza della detta dichiarazione, sono stati fatturati con l’IVA al 10% (per inciso, spiega la Corte, anche se la cessione del bene si ha per effettuata alla stipula del contratto definitivo, il pagamento è immediatamente assoggettato ad IVA, ex art. 6, D.P.R. 633/1972).

Pagamento degli acconti prima della dichiarazione prima casa e rettifica delle fatture

Infatti, spiega la Corte, da un lato, se il contratto preliminare è stipulato per l’acquisto della prima casa e “l’acquirente invochi l’applicazione della minore aliquota del 4%, anzichè del 10%, rendendo le predette dichiarazioni nel contratto definitivo” (o in mancanza, nel corso del giudizio di esecuzione in forma specifica, fino alla pronuncia della sentenza prevista dall’art. 2932 c.c.), le fatture emesse con l’aliquota al 10% possono essere rettificate dal venditore (ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972); ciò, ricorda la Corte, è stato affermato anche nella Circolare del 2/3/1994 n. 1/E.

Pagamento degli acconti prima della dichiarazione prima casa e variazione in diminuzione

Dall’altro lato, soggiunge la Corte, ove l’acquirente abbia i requisiti prescritti per l’acquisto prima casa solo al momento della stipula del contratto definitivo (ovvero nel corso del giudizio di esecuzione in forma specifica, fino alla pronuncia della sentenza prevista dall’art. 2932 c.c.), la variazione in diminuzione potrà effettuarsi anche oltre l’anno prescritto dall’art. 26 cit. in quanto la rettifica da apportare all’imposta non sorge da variazione degli elementi contrattuali, né ad errori di fatturazione: infatti, al momento della stipula del contratto preliminare, l’imposta è stata correttamente applicata nella misura del 10 per cento (la Corte invece qui cita la Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 187 del 7/12/2000, per la quale “…detta rettifica risponde ad una ratio del tutto diversa da quella che presiede la previsione del citato articolo 26, in quanto… risulta finalizzata alla necessità di garantire l’applicazione del beneficio “prima casa” sull’intero importo dell’operazione, anche nella ipotesi in cui il relativo pagamento avvenga in più soluzioni”).

Rettifica, condizioni per usufruire della prima casa ed effetto traslativo

La citata Risoluzione spiegava altresì che la rettifica per carenza al momento del preliminare dei requisiti per usufruire dell’aliquota al 4% è coerente con la particolare ratio connessa ai benefici prima casa: le norme sull’aliquota al 4% (di cui al n. 21 della Tabella A, parte seconda, allegata al D.P.R. 633/1972) rinviano alle norme sui benefici prima casa (di cui all’art. 1 della tariffa, parte prima allegata al DPR 26 aprile 1986, n. 131) e queste ultime subordinano l’applicazione dell’aliquota del 4% alla circostanza, per quanto qui interessa, che la dichiarazione relativa alla sussistenza dei requisiti necessari sia resa alla firma dell’atto di acquisto e non richiedono che tali requisiti sussistano anche al momento del pagamento degli acconti; il che è confermata dal co.2 della stessa tariffa il quale prevede che le dichiarazioni circa il possesso dei suddetti requisiti possono essere rese oltre che nell’atto di acquisto, anche in sede di contratto preliminare, (consentendo pertanto l’applicazione dell’aliquota IVA del 4% già in tale sede) e che esse debbano riferirsi al momento in cui si realizza l’effetto traslativo del contratto.

Pertanto, aggiunge la Risoluzione, “in considerazione della particolare ratio, strettamente connessa all’applicazione del beneficio prima casa, che presiede alla possibilità di operare le variazione in diminuzione nell’ipotesi in esame, deve ritenersi che detta variazione possa essere effettuata a prescindere dal tempo trascorso tra il pagamento dell’acconto e la stipula dell’atto definitivo di acquisto”.

La Corte conclude ricordando che nel caso in cui, poi, l’acquirente non possieda i relativi requisiti e dunque l’aliquota al 4% non sia corretta, il venditore è tenuto a pagare per intero l’IVA (al 10%) rivalendosi sull’acquirente (con ciò richiamando la sentenza n. 21201/2005).

fonte:idealista news

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